Frank Iodice – Una donna di mare
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«A volte, per andare in una direzione siamo costretti ad andare prima in un’altra all’apparenza opposta».
Mario Amato è un medico di origini italiane, arrivato al Saint Roch in un’epoca felice della sua città. Indossa cravatte di seta, ha un rapporto esclusivo con l’acqua e abita in un palazzo non lontano dal porto di Nizza, con sua moglie, donna ricercata che parte spesso. Quel lunedì mattina, un titolo inconsueto sul quotidiano francese «Nice Matin» attira l’attenzione di Mario. Poi il telefono squilla: è Chamonier, il proprietario dell’Hotel Wilson, che informa il dottor Amato di strani fatti avvenuti quella notte. Amato scopre che qualcosa è davvero accaduto: tre medici che avrebbero dovuto partecipare al congresso per il diabete, sono stati assassinati. Nel mentre, Ceci Cerasa, cliente dell’Hotel Wilson, lascia l’albergo per dirigersi alla stazione di Ventimiglia. Nel bagaglio ha una uniforme piegata con cura, un po’ di biancheria, e una pochette con lo spazzolino. È diretta a Singapore. Da qui, la storia si dirama per procedere su una retta parallela lontana dalla Francia, in un percorso fatto di rimandi e coincidenze. Circondato da questa congrega di personaggi difettosi, Frank Iodice scopre l’inganno e conduce il lettore in un diario precisissimo, non solo dei fatti, ma di certi cortocircuiti emotivi. Con una prosa speculativa e intelligente, l’autore ci regala un giallo algebrico, in cui si innesca una sfida a colpi reciproci per smascherare le ipocrisie attraverso il vetro di un acquario. Una donna di mare è una storia di investigazione, sulla fiducia nell’ingegno umano e sulle contraddizioni dell’esistenza, in cui tutto può salvare o dannare allo stesso tempo. Iodice racconta di scoperte, di legami, di perdite, di una Nizza dall’aria fuligginosa, in cui esplode il ritratto di un uomo disincantato, che conserva per l’acqua un’antica e rispettosa paura.
Esaurito
Subhaga Gaetano Failla –
Ho concluso all’alba la lettura di “Una donna di mare”. Una narrazione intensa, emozionante e di alti livelli stilistici, come tutti i testi di Frank Iodice che ho letto finora.
L’indagine investigativa che costituisce la trama più visibile di questo romanzo viene condotta attraverso i labirinti linguistici e le divergenze. Il vero enigma da risolvere è il linguaggio, le sue ambiguità, le interruzioni e le intermittenze, i tic e gli equivoci. L’atmosfera che avvolge l’intera storia è ironica, malinconica, poetica, talvolta addirittura comica, una comicità che infrange con irriverenza la seriosità con cui affrontiamo le vicende quotidiane. E la ricerca della verità è irrisa da un sorprendente sberleffo che balza dal foglio, con velata noncuranza, a tre quarti del romanzo: “La verità è il sogno di qualunque bugiardo”. Dunque ogni sforzo per risolvere l’enigma, l’enigma umano, è vano o la sua soluzione è illusoria. È quel che accade nel finale di “Una storia semplice” di Sciascia oppure nella desolante conclusione di “La promessa” di Dürrenmatt. Come in tutti i libri importanti, dalle atmosfere di “Una donna di mare” giungono evocazioni di altri luminosi compagni di viaggio: Bukowski con il suo “Pulp”, ad esempio, oppure Tabucchi con “Piccoli equivoci senza importanza”.
Mi hanno colpito inoltre, ed entusiasmato, le parole poste in chiusura: “Scritto al Café Sully, Place Garibaldi, nell’inverno del 2012”. Scrivere come si faceva una volta, nel pullulare della vita quotidiana! E ancora, concludendo, appaiono a tratti, sparse a sorpresa tra le pagine di tutto il libro, frasi di tale potenza da far sobbalzare d’improvviso, in un bagliore: “Il ghiaccio nel bicchiere che aveva in mano era diventato più piccolo. I bicchieri di chi pensa troppo diventano sempre così e i cubetti fanno meno rumore.”
Il finale di “Una donna di mare” è perfetto.